approfondimenti

il Punto

PNRR

Ieri presso le commissioni Bilancio riunite si sono svolte delle audizioni sul Pnrr, tra cui quella della Svimez. Tra i punti toccati, il nodo delle opere definanziate dall’ultimo taglio del Governo pari a 15,9 miliardi di euro. Secondo l’associazione è urgente capire in che modo il governo opererà per individuare le fonti alternative di finanziamento per le misure stralciate.

Il Ministro Fitto aveva assicurato che tutte le opere escluse dal Pnrr sarebbero state rifinanziate con altri fondi, in particolare con le risorse del Fondo nazionale per lo sviluppo e la coesione (FSC). 

Ma l’audizione di ieri smentisce tutte le rassicurazioni del Governo. La Svimez ha affermato in modo chiaro quanto sia complicato un eventuale utilizzo del Fondo nazionale per lo sviluppo e la coesione per finanziare gli interventi esclusi dal PNRR, dal momento che per questo fondo sussistono previsioni normative che riservano l’80% delle proprie risorse a favore delle regioni del Mezzogiorno.

Ad oggi dunque non sappiamo in quale modo il Governo intenda finanziare le opere che ha cancellato dal Piano. Dal Ministro Fitto ci attendiamo chiarezza. Dica se e soprattutto come troverà le risorse per questi interventi. E’ di estrema importanza assicurare subito le risorse necessarie, in particolare per i progetti tagliati che coinvolgono i Comuni, molti dei quali erano già in fase avanzata.

Per questi progetti, le cui procedure di realizzazione risulta fossero ben avviate, è essenziale - come più volte il Partito Democratico ha chiesto - garantire un adeguato finanziamento nel più breve tempo possibile.

Dall'esecutivo servono quindi risposte e devono arrivare al più presto. Non abbiamo molto tempo. Lo ha confermato sempre nella giornata di oggi il secondo report annuale dell’Ue sull'attuazione del Pnrr, che ha messo in evidenza come l'attuazione del Piano italiano sia in corso ma con un rischio crescente di ritardi.

Impresa Domani

E’ stato presentato ieri il 33° Rapporto "Milano Produttiva", realizzato dal servizio studi statistica e programmazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi.

Nonostante la situazione complicata e incerta a causa degli effetti dell’inflazione, della crisi energetica e della guerra, l’economia delle tre province lombarde è cresciuta del 4,7% rispetto ad un anno fa. Nello specifico, Milano segna un +5% di incremento del valore aggiunto, Lodi +3,8% e Monza Brianza +2,9%. Numeri che confermano la straordinaria attrattività di questi territori che crescono più della media nazionale.

Oltre ad essere uno dei principali motori d’Europa, Milano rappresenta un punto di forza per il nostro Paese in una fase complicata di cambiamenti epocali e con una riorganizzazione dell’economia globale in corso.

Sotto la spinta del cambiamento climatico, è nella transizione energetica e digitale che si gioca la partita del futuro. Non è un caso che siano proprio questi due i settori di riferimento del nostro Pnrr. Sono i temi che interesseranno il nostro tessuto produttivo nei prossimi anni. Ed è qui che si giocherà la sfida della competitività per le nostre imprese.

Di fonte a questo scenario, mentre il governo continua a non voler guidare il tema della transizione, negando il problema e attaccando ideologicamente l’Europa, i gruppi del Partito Democratico di Camera e Senato insieme alla Segreteria PD hanno elaborato il documento “Impresa Domani” - che allego in fondo al post – un contributo concreto, aperto a miglioramenti e ad osservazioni, in vista delle sfide del futuro. E’ urgente una vera strategia di politiche industriali per l’Italia. Partiamo dalle nostre proposte aprendole al contributo di tutti: forze economiche e sociali, mondo dell’università, della ricerca, amministratori locali. Tutte realtà con cui ci siamo già confrontati e che devono essere protagoniste nella discussione sullo sviluppo del Paese.

Gli obiettivi delle proposte di “Impresa Domani” sono diversi: favorire la digitalizzazione e l’autonomia energetica delle PMI; sostenere l’industria manifatturiera nella trasformazione digitale e nella conversione ecologica, recuperare il ritardo nelle competenze digitali, allineare la politica industriale italiana agli obiettivi europei, sviluppare l’economia Green per il Mezzogiorno.

Sono linee di azione programmatica che si muovono all’interno dell’orizzonte europeo. Perché il nostro Paese, seconda manifattura europea, non può che stare lì: dentro la politica industriale europea, seguendo i grandi obiettivi dell’Unione, dai processi reindustrializzazione al Digital Decade per le imprese, dallo sviluppo delle tecnologie green al sostegno all’imprenditorialità. Come Partito Democratico riteniamo che l'Italia in questo percorso abbia tutte le carte in regola per svolgere un ruolo da protagonista.

IMPRESA DOMANI - Una proposta aperta per una strategia di politiche industriali per l’Italia (pdf)

Salario minimo

Questa settimana è stata depositata alla Camera la prima proposta di legge congiunta tra tutte le opposizioni - ad esclusione di Italia Viva - per l’introduzione in Italia di un salario minimo per lavoratrici e lavoratori.

Una proposta che oltre ad essere necessaria per contrastare forme di sfruttamento nel mondo del lavoro rappresenta una misura di dignità e di giustizia sociale.

Lo Studio Legale Daverio&Florio, specializzato nel Diritto del Lavoro e nel Diritto della Previdenza Sociale, ha recentemente realizzato un’analisi sul salario minimo che è stata pubblicata da Il Sole 24 Ore.

Riporto alcuni dati dell’analisi, utili a contestualizzare il tema nello scenario europeo.

La norma è presente in tutti i Paesi europei ad eccezione di Italia, Danimarca, Austria, Finlandia e Svezia.

In Francia e in Spagna il salario minimo esiste già da tempo, rispettivamente dal 1950 e dal 1963, mentre in Olanda è stato introdotto nel 1969. In Francia è pari a €11,52 lordi all'ora, pari a €1.747,20 lordi mensili (per 35 ore) e si rivaluta in base all'aumento dei prezzi e all'aumento del salario medio.

In Irlanda il salario minimo nazionale è stabilito dal National Minimum Wage Act 2000 (€11,30 all’ora lordi e €1.909,70 al mese lordi) e verrà sostituito con il salario di sussistenza a partire dal 2026.

I valori più alti del salario minimo si registrano in Lussemburgo (€2.387,40 al mese) e in Germania (€2.080 al mese).

Allargando lo sguardo ai Paesi Extra Ue, in UK dal 1998 esiste il National Minimum Wage Act, con un valore che viene deciso ogni anno dal governo in base all'andamento dell'economia e del costo della vita. Il salario minimo va da dai 5,28 sterline (6,07 €) lorde per i lavoratori sotto i 18 anni, 7,49 sterline (8,58 €) da 18 a 20 anni, 10,18 sterline (11,66 €) da 21 a 22 anni e 10,42 sterline (11,94 €) da 23 anni e oltre (National Living Wage).

In Italia il dibattito pubblico da anni discute dell’introduzione di un salario minimo per legge. Tranne il Governo in carica, tutti condividono che una riforma del sistema salariale italiano sia ormai urgente. I nostri stipendi sono fermi da trent’anni. Recentemente, a causa dell’inflazione, il potere di acquisto delle famiglie si è ulteriormente ridotto.

Non possiamo più aspettare. Serve una legge anche in Italia e ne abbiamo bisogno ora. Per questo come Partito Democratico continueremo a combattere per l’introduzione di questa norma di civiltà. Perché come afferma la nostra Costituzione, “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”.

Rapporto sulla politica di bilancio

Pochi giorni fa l’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha pubblicato il Rapporto sulla politica di bilancio, che esamina le tendenze e le prospettive dell’economia italiana e della finanza pubblica.

Se la stabilità dei saldi programmatici presentata nel DEF 2023 appare appropriata - anche grazie al progressivo venir meno delle misure volte a contrastare le crisi pandemica ed energetica – sono diverse le criticità messe in evidenza nel dossier.

L’Ufficio Parlamentare di Bilancio rileva diversi elementi di incertezza sulle prospettive di finanza pubblica, collegati sia alla realizzazione del PNRR che alla programmazione di bilancio.

Il governo deve ancora trovare adeguate coperture finanziarie rispetto agli interventi che ha programmato, in primis sul tema del rinnovo dei contratti del pubblico impiego. Non solo. Mancano indicazioni rispetto alle coperture per le misure per le politiche invariate, sulla disciplina pensionistica, sulla riduzione della pressione fiscale annunciata nell’arco della legislatura.

Nell’insieme – scrive l’Ufficio Parlamentare di Bilancio nel Rapporto - sembrerebbero necessarie cospicue risorse di copertura che, dopo il periodo di risanamento del recente passato, appare difficile poter reperire senza incidere sulla prestazione dei servizi e sull’attuazione delle politiche sociali. E’ questo il punto più preoccupante: fare cassa sui più deboli tagliando i servizi sociali.

Il governo ha già iniziato a farlo cancellando il fondo sostegno affitti, il reddito di cittadinanza e opzione donna. Come principale forza di opposizione faremo il possibile per contrastare l’impostazione di un governo che è forte con i deboli e debole con i forti.

Rapporto sulla politica di bilancio (giugno 2023)

La riforma del Governo sull'Autonomia differenziata

Ad oggi sono 52 i documenti acquisiti dalla I Commissione del Senato sul testo di riforma del Governo sull’autonomia differenziata. Nonostante le convinzioni – non dimostrate e a volte persino smentite - di Calderoli e dei sostenitori di questo provvedimento sono diverse le criticità emerse. Costituzionalisti, rappresentanti del mondo delle imprese e delle professioni, sindacati, sindaci e amministratori continuano ad esprimere nelle audizioni e attraverso la presentazione di documenti grande preoccupazione rispetto a un’autonomia così concepita.

Siamo da sempre favorevoli all’autonomia differenziata ma a un’autonomia che non spacchi l’Italia. Così come l’ha concepita Calderoli poterebbe maggiore disuguaglianza nei servizi essenziali e insostenibilità per il bilancio dello Stato.

Il professor Ugo De Siervo ha evidenziato come“si contrarrebbero nelle Regioni interessate i poteri legislativi statali di definizione delle leggi cornice o quelli di tipo esclusivo ed a livello nazionale entrerebbero in crisi le normative statali” perchè “non sarebbero più legittimate, più o meno integralmente, le normative statali che la Costituzione invece continua a prevedere come necessariamente esistenti ed uniformi, tra le quali trasporti ed aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, distribuzione nazionale dell’energia”. Per De Siervo l’impostazione del Governo è “in palese contrasto – in assenza di una esplicita e razionale revisione costituzionale - con il principio inderogabile della solidarietà territoriale in una Repubblica ‘una e indivisibile’, con tutti i gravi rischi che ne potrebbero derivare”.

Anche l’Anci ha rilevato molte perplessità, così come lo hanno fatto Confindustria e i sindacati nel corso delle audizioni.

Se il FORUM TERZO SETTORE, non nascondendo la propria contrarietà al testo, ha definito “regionalismo delle disuguaglianze” la riforma del Governo, Confindustria ha rappresentato anche una questione di metodo, sollecitando l’esigenza di un più ampio coinvolgimento degli attori sociali.

È una riforma sbagliata nel merito e nel metodo: si sarebbe dovuti partire dai Livelli Essenziali delle Prestazioni come diciamo da tempo. Nessun confronto con le altre istituzioni, mancanza di chiarezza su aspetti determinanti di perequazione, rischio di insostenibilità del bilancio statale, aumento delle disparità tra le Regioni e delle disuguaglianze tra i cittadini. Il progetto Calderoli sull’autonomia nei fatti rischia di dividere il Paese e di peggiorare le condizioni degli italiani.

Il Partito Democratico non può che respingere questo testo e non certo per una contrarietà aprioristica all’autonomia differenziara. Qui sotto trovate una scheda di approfondimento del tema.

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